Primi piatti: Rigatoni alla carbonara

Lezione n° 51
 Galline allevate come?  Stanno meglio a terra i poveri bipedi? Tutti sostengono questo e infatti i produttori si sono attrezzati. E se i volatili sono in 500 in un pollaio di 10 metri e si azzuffano dalla mattina alla sera? Galline stressate, uova di infima qualità. Allora meglio in gabbie piccole ma tranquille? 
E le uova fanno bene o male? Quando ero piccola l’uovo fu messo al bando come la causa di tutti i nostri problemi di salute a causa della quantità di colesterolo. Oggi la questione non sembra di nessun rilievo perché nessuno ne parla e nelle trasmissioni televisive di cucina imperversano la pasta e i dolci fatti in casa. Infarciti l'una e gli altri di uova. E allora?????? Meditare, sempre.


Ma veniamo a noi, quelli che.." la carbonara un volta al mese si può mangiare".
Probabile che il piatto sia nato durante la seconda guerra mondiale dal fortunata unione delle uova in polvere e del “bacon” portati dai soldati americani con la pasta. Geniale! Perché si chiami così è dubbio.
Ho scelto il formato di pasta corta perché più facile da gestire. Infatti, la difficoltà della ricetta è nell’ unire l’uovo alla pasta senza ottenere… una frittata.

Informazioni nutrizionali sull'uovo

Albume
Acqua: 87,7
Proteine: 10,7
Lipidi: tracce
Carboidrati: tracce
Kcal: 43
Colesterolo:0
Sodio: 179 mg
Potassio: 135 mg

Tuorlo
Acqua: 53,5
Proteine: 15,8
Lipidi: 29,1
Carboidrati: Tracce
Kcal: 335
Colesterolo: 1337 mg
Fosforo: 586 mg
Calcio: 116 mg

 (Fonte: Inran- Istituto Nazionale di Ricerca per l'Alimentazione e la Nutrizione)


Dosi per 6 persone


160 gr. di guanciale: tagliare a striscioline o in una dadolata e soffriggere in padella. Il grasso deve diventare trasparente, sufficientemente morbido e non secco. Per raggiungere questo risultato bisogna tenere la fiamma non troppo alta o addirittura bassa ed eventualmente portare avanti la cottura qualche minuto con la padella coperta. A cottura ultimata trasferire  tutto il contenuto in una padella o tegame largo a sufficienza per contenere la pasta quando sarà scolata.

4 uova intere + 3 tuorli, 150 gr. di pecorino, pepe, sale: Sbattere in una scodella le uova e i tuorli , aggiungere il pecorino amalgamandolo senza formare grumi; aggiustare di sale (che forse non sarà necessario perché il guanciale è saporito) e aggiungere il pepe in modo deciso, diciamo almeno un pizzico a persona.

600-700 gr. di rigatoni: lessare la pasta in abbondante acqua salata. Scolarla al dente e buttarla nella padella con il guanciale lasciando un minuto sul fuoco a mantecare, girandola velocemente. Togliere  dal fuoco e versarci dentro il composto di uova e pecorino, che si deve legare alla pasta velandola come una crema ma non deve rapprendere formando i grumi tipici dell’uovo strapazzato.
Qualcuno mantiene la padella sul fuoco molto basso e gira velocemente. Mi sembra più sicuro fare l’operazione fuori dal fuoco; se la mantecatura dovesse essere leggermente brodosa o lenta, avvicinare pochi secondi alla fiamma sempre girando. E continuare così, con piccoli "ritorni" sul fuoco, finché l'uovo non abbia la giusta densità. 
Meglio un uovo oggi o una gallina domani? Buon appetito.

Cenci o frappe di Carnevale




In Toscana sono cenci, in Emilia sono frappe  o frappole, in Piemonte sono bugie, chiacchiere in Lombardia; quasi sempre si friggono, ma si cuociono anche in forno. Possono essere a forma di nastro, romboidali, rettangolari tagliati al centro, con più tagli centrali oppure annodati. Chi più ne ha più ne metta. Forse per questo Pellegrino Artusi scriveva:
La cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa disperare[…] Diffidate dei libri che trattano di quest’arte: sono la maggior parte fallaci o incomprensibili, specialmente quelli italiani […] Il miglior maestro è la pratica […] (“La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”).
  Per fortuna nel caso delle frappe (a Roma si chiamano così) ingredienti ed esecuzione sono  uguali in tutta Italia, senza particolari difficoltà.
Il mio consiglio è di friggerle, il gusto ci guadagna.
Per quanto riguarda l’aggiunta di alcool tra gli ingredienti ( vino bianco aromatico, vin santo, grappa , rhum)   è riportata in tutte le ricette che ho consultato e consigliata, perché evapora in cottura e perciò non appesantisce l’impasto, come farebbe invece l’acqua,. Basta scegliere l’aroma che preferiamo.

 
Dosi per un vassoio
300 g di farina, 30 g di burro a pezzettini, 30 g di zucchero, la scorza di un limone grattata, ½ bicchierino di grappa (o vino bianco, rhum, vin santo), un pizzico di sale, 2 uova:
Metodo 1: unire tutti gli ingredienti in un’impastatrice e impastare aggiungendo le uova una per volta alla fine. Lavorare un po’ il tutto con le mani per far sì che il burro si ammorbidisca e distribuisca uniformemente.
Metodo2: disporre la farina a fontana e porre al centro tutti gli ingredienti, amalgamando fino ad ottenere un impasto omogeneo.
Superficie dell'impasto liscia
Lavorare la pasta per una decina di minuti. Sarà pronta quando avrà assunto un aspetto elastico e liscio.


 
Coprire con della pellicola trasparente e far riposare per mezz’ora (o più).
Stendere la sfoglia con il matterello e ripiegarla nuovamente su se stessa, come se si piegasse un fazzoletto. Poi stenderla di nuovo. Questo passaggio è necessario per far sollevare le frappe durante la cottura come se fossero due strati di pasta attaccate fra loro (un po’ come succede quando si cuoce la pasta sfoglia).
Quando la sfoglia è stesa e sottile, tagliare delle strisce di 3 cm x 7 cm con una rotella dai bordi scanalati (si può fare con un coltello ma è più difficile e non dà il tipico effetto sagomato sul bordo). Le dimensioni delle strisce sono indicative. Si possono fare frappe più piccole o più grandi a proprio gusto.

 Incidere la parte centrale della striscia. Questo permette alla frappa di gonfiarsi e cuocersi uniformemente. Si possono anche annodare i natri, come si vede nella foto, facendo passare un lembo dentro il taglio centrale.








 
 
1 lt di olio + una padella per friggere: portate l’olio alla temperatura di 170 °C, immergere le frappe una ad una e mai troppe nello stesso momento ( la frappa appena immersa deve produrre molte bolle, venire immediatamente a galla e gonfiare in  pochi secondi); rigirarle delicatamente per farle dorare da entrambi i lati; scolarle su carta assorbente.

Aggiungere abbondante zucchero a velo solo una volta raffreddate e asciutte (se no si scioglie). Non chiuderle o  coprirle con pellicola finché non siano completamente fredde.

 Fatene tante perché devono durare…….una quaresima! 

Bucatini all'' amatriciana



Lezione n° 50
Spaghetti o bucatini? Cipolla si o no? Guanciale o pancetta? Equivoci e miti da sfatare grazie all’aiuto delle fonti più accreditate (vedi link in basso).


Partendo dalle origini, la pasta all’amatriciana  derinando il suo nome dalla cittadina di Amatrice ha natali abruzzesi, perché in passato il paese era in provincia de L’Aquila e non di Rieti. E’ una ricetta diffusasi nel Lazio e soprattutto a Roma grazie alle transumanze dei pastori che giungevano dall’entroterra fino verso la capitale.
Ad Amatrice viene preparata con gli spaghetti, mentre nella versione romana è nota quella  con i bucatini. Personalmente, le dimensioni “corpose” del bucatino mi sembra si sposino meglio con il sapore pieno e invadente del guanciale e del pomodoro, cioè riescano a tener loro testa. Detto ciò, ripeto sempre che in cucina ognuno deve adottare le varianti che preferisce, se no che gusto c’è? 

 
La versione originaria del piatto era senza pomodoro, solo con pecorino e guanciale, nella versione oggi conosciuta come pasta “alla gricia”. Il guanciale è indispensabile, senza non è più amatriciana.
Per quanto riguarda la cipolla, non c’è nella ricetta tradizionale; è anch’essa una variante attuale e più legata alla preparazione romana. A me che adoro la cipolla sembra un’aggiunta assai azzeccata, ma certo il piatto perde un po’ della sua dolcezza.


 
Val la pena ricordare che il pecorino è un prodotto DOP. Il pecorino romano (prodotto oltre che nel Lazio, anche in Toscana e Sardegna) rispetta la lavorazione tradizionale con aggiunta di caglio d’agnello.  Mi viene in mente un fatto divertente. La cucina laziale utilizza molto il pecorino, oltre all’immancabile parmigiano. Quando vengono serviti entrambi a tavola, i commensali sono sempre in difficoltà nel riconoscere l’uno o l’altro. Mi sembra curioso, dal momento che il parmigiano è giallo e il pecorino quasi bianco: Specie se messi l’uno accanto all’altro, la differenza è macroscopica. 

Valori nutrizionali del pecorino per 100 gr.:
Acqua: 31,9 gr.
Proteine: 26 gr.
Lipidi (grassi): 33,1
Zuccheri: 1,8 gr.
Colesterolo: 90 mg
Kcal: 409
Calcio: 900 mg
Fosforo: 589 mg
Vitamina A  (retinolo): 480 mg

Valori nutrizionali del guanciale per 100 gr.
Acqua: 22,19 gr.
Proteine: 6,28 gr.
Lipidi (grassi): 69,60 gr.
Zuccheri: 0
Sodio. 25 mg
Potassio: 148 mg
Kcal:  655






 
Dosi per 5-6 persone

125 gr. di guanciale ,1 cucchiaio d’olio d’oliva (facoltativo perché il guanciale rilascia molto grasso durante la cottura), 1 pezzetto di peperoncino, una spruzzata di vino bianco secco: in una padella preferibilmente di ferro mettere l’olio e il peperoncino; aggiungere il guanciale tagliato a dadini o a  e rosolare a fuoco vivo. Sfumare con il vino bianco e farlo evaporare per un paio di minuti. Togliere dal fuoco e sgocciolare i pezzi di guanciale quando sono ben dorati e croccanti. Tenerli da parte coperti.
8 pomodori  San Marzano pelati e senza semi oppure400 gr. di pomodori pelati in scatola: spezzettare i pomodori  e aggiungerli nella padella utilizzata per il guanciale. Far cuocere per pochi minuti.
Aggiungere il guanciale alla salsa di pomodoro ed eventualmente aggiustare di sale. Lasciare insaporire e amalgamare sul fuoco  per qualche minuto ancora.
500 gr. di bucatini, 100 gr. di pecorino: cuocere la pasta in abbondante acqua salata; scolarla ed unire metà del pecorino, mescolando affinché si fonda. Poi aggiungere la salsa. Mantecare il tutto e servire aggiungendo altro pecorino.


 Per saperne di più:
www.comune.amatrice.rieti.it
www.valori-alimenti.com
www.pecorinoromano.com
M. Guarnaschelli Gotti (a cura di), "Grande enciclopedia della gastronomia" (2012)
L. Jannattoni, "La cucina romana e del Lazio"(2003)




Filetti di baccalà in pastella


Lezione n° 39
L’argomento è spinoso. … Sì, essendo un pesce, il baccalà ha le spine. Però a parte questo, volevo dire che genera non poca confusione il fatto che il merluzzo, perché di LUI si tratta, cambi nome a seconda dei modi in cui è lavorato e conservato. Brevemente:
-merluzzo: è il termine con cui comunemente (con qualche eccezione regionale) indichiamo il pesce Gadus Morhus o Morhua pescato nell’ Atlantico,  nel Mar del Nord e nel Mar Baltico.
-stoccafisso: indica il merluzzo privato di testa e interiora e conservato intero (essiccato).
-baccalà: indica il merluzzo pulito, aperto e conservato sotto sale. Sul mercato lo troviamo anche nella versione già dissalata, cioè in cui il sale è stato eliminato attraverso varie ore o giorni di ammollo in acqua e il pesce è pronto per la cottura.
Come riconoscere un buon merluzzo? Innanzitutto avendo un pescivendolo degno di questo nome. Lui conosce le specifiche relative ai pezzi che arrivano in pescheria e da quelle si evince la qualità, che varia molto in base alla stagione in cui avviene la pesca e alle zone di pesca. Noi consumatori possiamo però osservare l’aspetto del pescato:
-non deve essere troppo piccolo (lunghezza di almeno 40 cm e spessore di 4 cm);
-non deve avere un collore giallognolo o macchiato, perché vuol dire che non è stato ben pulito o conservato;
 -non deve essere eccessivamente bianco, segno anche questo di un intervento con sostanze schiarenti, come l’anidride solforosa.

Composizione del merluzzo per 100 gr.
Acqua:  75,6 gr.
Proteine: 21,6 gr.
Lipidi (grassi): 1 gr. 
Colesterolo: 50 mg
Carboidrati: 0
Kcalorie: 95
Fosforo: 224 mg


 La ricetta che vi propongo è il baccalà passato nella pastella e fritto. La versione  “impastellata" è molto diffusa nella cucina romana ed immancabile nelle pizzerie della capitale. Purtroppo a parte rare eccezioni troviamo prodotti surgelati già pronti; ciò significa avere pastelle troppo spesse e poco digeribili. Visto che un fritto è di per sé sostanzioso e impegnativo per la digestione, rendiamolo più “friendly” preparando in casa una pastella con farina di riso  invece che di frumento. L’effetto leggerezza è garantito.

 
Ingredienti per 4 persone

Pastella con farina di riso
300 gr. di farina di riso, 250 gr. di birra (o acqua gassata), 1 tuorlo d’uovo, due pizzichi di sale: amalgamare delicatamente la birra alla farina; unire l’uovo e il sale. Mettere in frigorifero per almeno un’ora. Al momento di friggere, aggiungere alla pastella 3-4 cubetti di ghiaccio e amalgamare nuovamente, perché la farina tende a separarsi dal liquido e ad addensarsi sul fondo.

600 gr. di baccalà dissalato, 1 lt di olio di arachidi : togliere la pelle dai filetti e tagliarli in pezzi di 5-7 cm di lato. Cercare di avere pezzi uniformi tra loro in modo che abbiano uguali tempi di cottura. In un tegame fondo e stretto portare l’olio ad una temperatura di 170-180 °C. Se non si dispone di un termometro, si può verificare se l’olio è pronti immergendo un pezzetto di pane, che dovrà iniziare a friggere immediatamente, formando moltissime bolle piuttosto grandi e rumorose.
Immergere il baccalà un pezzo per volta nella pastella, ricoprendolo uniformemente e immergerlo nell’olio. Si possono friggere 3-4 pezzi per volta, basta fare attenzione a non abbassare troppo la temperatura dell’olio, che altrimenti darà un fritto poco croccante.
 Friggere fino a quando i pezzi abbiano assunto un colore dorato (tipo crosta del pane). Scolare su carta assorbente (tipo Scottex) e mangiare immediatamente, aggiungendo eventualmente un po’ di sale.
 
 Ho impiattato in un porta pranzo giapponese: così semplice, così elegante…. In onore alla polvere di riso, al fritto tempura, al pesce. 
Sempre e comunque con parsimonia, ça va sans dire.

Sergio Mottura: vini biologici da 3 bicchieri

L'istrice, emblema della casa



  
Un Capodanno così “bio” non l’avevo più passato dai tempi della mia infanzia (quando trascorrevo le vacanze dai nonni nella campagna senese): sveglia nella casa in mezzo al bosco di Elisa, la proprietaria, alle 7 del mattino. Niente riscaldamento, solo il camino centrale. Doppio pile, cappello e guanti e via per i sentieri, fino al paese, giusto per avere un cappuccino anti-gelo. Coltivazioni biologiche ce ne sono diverse da queste parti, A San Michele e a Civitella d’Agliano, in provincia di Viterbo. Al ritorno mi aspettano le marmellate fatte in casa e il pane caldo.
Panorama dal paese di S. Michele



La casa-agriturismo di Elisa

 
Il 31 dicembre, per entrare meglio nello spirito dei festeggiamenti, andiamo a visitare le cantine del produttore Sergio Mottura.
Il simbolo della casa vinicola è l’istrice. Ci spiega la figlia che la specie protetta non è propriamente amata dai contadini poiché scorrazza indisturbata, facendo man bassa degli ortaggi. Biologico significa anche questo.
La famiglia Mottura possiede la tenuta dal 1933 e negli ultimi cinquant’anni ha compiuto uno straordinario lavoro di modernizzazione degli impianti,  restando al tempo stesso fedele al principio del rispetto per l’ambiente. Per cui, sono state privilegiate le varietà viticole indigene e le coltivazioni seguono la  normativa CE sul biologico.
Per sapere tutto: http://www.motturasergio.it
Le cantine originarie, scavate nel tufo, si sviluppano su più livelli, attraversando la piazza centrale del paese di Civitella D’Agliano. Meritano una visita solo per questo.

Imbottigliamento dello spumanre Chardonnay ( prodotto secondo il metodo classico)


 
Dopo la degustazione che ci ha praticamente ubriacati ( i prodotti da assaggiare erano tanti e noi non facciamo come i sommelier… ), ho scelto di tornare a casa con un discreto numero di bottiglie di Latour 2007 (Grechetto 100%) e Nenfro 2009 (40%  Merlot, 60 % Montepulciano).
 Il Grechetto ha ricevuto dal Gambero Rosso 3 bicchieri anche quest’anno.
Sergio Mottura è stato riconosciuto “Viticoltore dell’anno” per il 2012.

Se passate da quelle parti, fateci una scappata.

I prodotti biologici di Elisa (www.molinaccio.135.it), invece, li trovate anche a Roma, tutte le domeniche al mercato de “L’altra economia” di Testaccio: http://www.cittadellaltraeconomia.org


Spaghetti con le vongole veraci


Lezione n° 38
 Quando ho iniziato la mia formazione per diventare una cuoca, oltre a frequentare corsi professionali di cucina, sono stata accolta come apprendista, o stagista che dir si voglia, nel ristorante di un caro amico. Il posto in questione si chiama “Tullio” ed è conosciuto a Roma perché riesce a coniugare ottimamente vari aspetti: le ricette tradizionali toscane eseguite in modo impeccabile, le materie prime eccellenti, la cortesia e disponibilità dello staff, un ambiente accogliente e curato. In una parola: professionalità a 360 gradi. In qualità di “comis” alle primissime armi, ero a fianco di Riccardo, il cuoco che si occupava e si occupa tuttora dei primi piatti. Riccardo mi ha insegnato a mantecare la pasta, facendo quel tipico movimento con la padella che permette a tutti gli ingredienti in essa contenuti di amalgamarsi al meglio tra loro, così che sapori si sprigionino e si fondano diventando un tutt’uno con l’ingrediente principale.
Nel caso degli spaghetti con le vongole il procedimento di mantecatura è particolarmente importante. Quando è ben eseguito si vede subito,  perché la pasta è rivestita da uno strato cremoso che fa dire immancabilmente all’ignaro di turno: “Ma cosa hanno aggiunto, la panna? Forse un po’ di burro??? Sarà mica farina?!!”. Niente di tutto questo. Non è altro che olio di gomito e …. di polso.
 E’ semplice da spiegare: se acqua e olio vengono mossi velocemente insieme, si miscelano. Quando sono miscelati formano un’ emulsione che assume il caratteristico aspetto cremoso e denso. La stessa cosa che succede se sbattiamo con una forchetta olio e limone. Tutti abbiamo presente l’effetto. L’emulsione è perfetta se la proporzione tra acqua e olio è bilanciata, per cui nessuno dei due ingredienti sovrasta l’altro. Si impara girando velocemente lo spaghetto sul fuoco e aggiungendo poca acqua e poco olio per volta, si osserva cosa succede ed eventualmente si integra con un po’ dell’una o dell’altro. E’ importante scolare la pasta molto al dente, così da avere almeno un paio di minuti di cottura supplementare in padella per creare un’emulsione ad hoc.

Il secondo aspetto sine qua non è un ottimo mollusco. Alla famiglia dei Veneridi appartengono: la Venus gallina, la cosiddetta “vongola”, il longone o vongola gialla, il veneride romboide, e la più amata, che conosciamo come vongola verace , la Venere o cappa incrocicchiata, detta anche vongola nera o cornuta. Si riconosce dal colore bruno grigio scuro e dalle rigature presenti, sia concentriche, sia radiali, cosa che manca negli altri tipi.
In questa ricetta ho usato le vongole veraci, ça va sans dire, e optato per l’aggiunta di un po’ di pomodoro a pezzi. La ricetta imporrebbe l’uso esclusivo delle vongole; questa è una variante però molto amata, che attenua il sapore preponderante del mitile. Sta a voi scegliere, a seconda che amiate un gusto più o meno deciso.






Valori nutrizionali dei molluschi per 100 gr. (fonte Inran)
Acqua: 82,1 gr.
Proteine: 11,7 gr.
Lipidi (grassi): 2,7 gr.
Carboidrati: 3,4 gr.
Colesterolo: 121 mg
Energia (kcal): 84
Sodio: 290 mg
Potassio: 320 mg
Calcio: 88 mg
Fosforo: 236 mg
   

Dosi per 4 persone

700 gr. di vongole veraci: mettere le vongole in uno scolapasta e immergerlo in una capace pentola. Riempire di acqua e aggiungere un cucchiaio di sale grosso. Lasciare per 4-5 ore. L’acqua salata (tipo acqua di mare) ha l’effetto di far eliminare la sabbia spesso contenuta nelle vongole, che si adagia sil fondo della pentola. Trascorso il tempo, scolare le vongole. Per essere sicuri che non ce ne sia qualcuna vuota contenete sabbia, un buon metodo è quello di sbatterle una ad una su un piano duro, per esempio il piano del lavabo di cucina. Generalmente un mitile vuoto produce un suono molto diverso e se contiene solo sabbia tende ad aprirsi a causa del colpo ricevuto.
 2 cucchiai d’olio d’oliva, 2 spicchi d’ aglio senza sbucciato: in una padella larga far rosolare l’aglio; aggiungere le vongole e coprire ermeticamente, lasciando il fuoco vivace. Portare avanti la cottura per almeno 5-10 minuti e poi verificare che le vongole siano tutte aperte. Quelle che non si aprono devono essere eliminate. Togliere le vongole dalla padella e filtrare il liquido fuoriuscito con un passino ricoperto con della carta assorbente (tipo scottex) o un tovagliolo pulitissimo. Rimettere le vongole nel liquido.
Volendo si possono eliminare i gusci di metà mitili. E’ un lavoro noioso e lungo ma ne vale la pena, perché sarà poi molto più facile insaporire e mantecare gli spaghetti, oltre che mangiarli…
 100 gr. di pomodorini tipo a grappolo, 2 cucchiai d’olio d’oliva, 1 spicchio d’aglio: tagliare ogni pomodorino in 4 parti e saltare nell’olio con l’aglio per pochi minuti; unire alle vongole.
 350-400 gr. di spaghetti, un cucchiaio di prezzemolo tritato: cuocere gli spaghetti in acqua salata; scolare molto al dente e unire in una padella larga al sugo di vongole e pomodorini, mantecando con indicato sopra fino a cottura.
Aggiungere il prezzemolo e sedersi a tavola immmmmediatamente. 

 
Per riferimenti:
www.tullioristorante.it
www.inran.it (Istituto Naz. Ricerca Alimentazione e Nutrizione)

Inoltre non posso non citare la mia bibbia in cucina:
Grande enciclopedia illustrata della gastronomia a cura di Marco Guarnaschelli Gotti, quest’anno in una nuova edizione.


© Gourmandia

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